L'opera di Dio nella nostra vita


[Commento al Vangelo di domenica 22/3/2020, Giovanni cap. 9]

Il brano di vangelo che ci viene proposto questa domenica coincide con il cap. 9 di Giovanni: è comunemente conosciuto come “il racconto della guarigione del cieco nato”. Leggendo il testo però noto che in realtà il miracolo di guarigione occupa solo 2 versetti (i nn. 7 e 8). Giovanni si serve di un intero capitolo allora, per dire cosa? Sembra che all'evangelista interessi di più quello che accade dopo il miracolo, che non il miracolo in sé. Questa guarigione prodigiosa infatti innesca una serie di reazioni, sia nell'uomo beneficato, che in una serie di altri personaggi. Procediamo però con ordine.

Se non corriamo troppo sui primi versetti della vicenda, notiamo uno scambio di battute molto interessante. I discepoli, notando il cieco nato, domandano il perché di questa malattia: pensano ad un castigo di Dio per i peccati. Gesù smorza con vigore questo modo di ragionare morboso e fuorviato, piuttosto fa capire loro che quella malattia non è necessariamente una maledizione, anzi può diventare un ambito di salvezza. Gesù afferma che anche le situazioni di difficoltà, di sofferenza, di limite, di povertà, possono diventare occasioni attraverso le quali scoprire Dio all'opera.

Altro bel particolare da cogliere: Gesù è il primo a 'vedere'. “Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita”. Nella vicenda della guarigione di questo cieco, l'iniziativa è tutta di Gesù, che fa un dono tanto meraviglioso quanto inaspettato. Lui infatti agisce liberamente e gratuitamente nella vita delle persone. I suoi doni sono inaspettati e, forse spesso, non coincidono con quello che ci si aspetterebbe o si domanderebbe a Dio. Purtroppo noi uomini talvolta corriamo un pericolo: quello di focalizzarci su determinate aspettative, a tal punto che rischiamo di non cogliere ciò che Gesù ci offre in realtà. Siamo così concentrati sulle nostre particolari aspettative, che forse ci sfuggono i miracoli di cui siamo già destinatari.

Per di più, lo vedremo subito, ciò che Gesù opera nella vita delle persone è in realtà come un invito, una proposta a percorrere un cammino più lungo, che ciascuno sceglierà liberamente se e come compiere. Proprio questo avviene al cieco nato: la questione decisiva per lui non è avere ottenuto la vista, ma vedere e riconoscere Gesù come Figlio di Dio. Lui non solo guarisce fisicamente, ma giunge ad incontrare veramente Dio. All'inizio della vicenda per lui Cristo è semplicemente "l’uomo che si chiama Gesù"; più tardi lo indica come un profeta; solo alla fine lo chiama Signore e si prostra ad adorarlo come si fa solo con Dio. Nonostante per ben 3 volte questo miracolato risponda di 'non sapere', alla fine del capitolo proprio lui sarà l'unico a comprendere chi sia realmente Gesù. Il suo unico merito è stato non essere rimasto fermo alla constatazione della sua guarigione. Al contrario, si è lasciato interrogare da quel segno, ha cercato più in profondità da chi provenisse, ha affrontato anche il biasimo dei giudei, ma alla fine ha incontrato e riconosciuto Gesù come il Dio che può salvare. Salvare è più di guarire.

Tra gli altri personaggi della vicenda, i farisei sono quelli esattamente opposti a quest'uomo: resi ciechi dalla loro presunzione di vedere bene, ritengono di conoscere già tutta la verità su Dio e di avere accesso alla salvezza, eppure considerano Gesù un peccatore reietto da Dio. Nemmeno l'evidenza dei fatti (la guarigione di un uomo cieco dalla nascita) scalfisce minimamente le loro convinzioni. Sono talmente sicuri di 'avere la verità in tasca', che non accettano di dialogare ed escludono qualsiasi eventualità di dover correggere la propria posizione. Hanno assistito all'opera di Dio, che ha cambiato la vita di un uomo, ma nemmeno questo ha alcun valore di verità per loro; anzi, per essi si tratta solo di una seccatura di cui sbarazzarsi in fretta perché la avvertono come una minaccia al loro "sistema religioso". Alla fine giudicano con disprezzo l'uomo miracolato e lo cacciano via. 

Nessuno, specialmente chi si considera un uomo di Dio, può permettersi la stoltezza di rifiutare l'ascoltare ad altre persone, il confronto, la ricerca continua della verità di Dio. Nessun vero uomo di Dio dovrebbe temere di essere messo in discussione da fatti di bene e di amore, da qualunque persona provengano.

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