Vivere in una squatter area




Dopo i primi sei mesi trascorsi qui a Manila, sono pronto per raccontare un po' più approfonditamente la vita delle famiglie che trovo attorno a me, cominciando da quelle che popolano le squatter areas.
In italiano le chiamiamo aree abusive. Usando un termine meno tecnico, ma forse più sincero, sono baraccopoli. Qui di fatto costituiscono buona parte del territorio della parrocchia. Potete cercarle su Google: sono Aroma, Temporary Housing, Happyland e altre meno famose. Mi hanno raccontato i più anziani che, in molte di queste aree, più di trent'anni fa non c'era nulla, o quasi. I fiumi e le coste erano sgombri, puliti: ci si poteva tranquillamente nuotare e pescare. Adesso sono rinchiusi da un intricato groviglio di baracche, immondizia e persone ammassate.



Le abitazioni delle famiglie sono realizzate utilizzando ogni sorta di materiale a disposizione trovato per strada, nella discarica, o regalato da qualche amico. Fortunatamente, in molte la struttura portante è fatta di cemento e mattoni, ma il resto sono lamiere, pezzi di compensato, vecchi teli di plastica e cartoni tenuti insieme da qualche chiodo, da fil di ferro e spago. Ci sono anche abitazioni più simili a piccole capanne, più piccole e fragili, realizzate all'interno di grandi capannoni a due piani (i “building”, ormai molto decadenti) realizzati anni fa come riparo provvisorio (da qui il nome Temporary Housing). Col passare del tempo la gente ha iniziato a considerarli come una soluzione abitativa definitiva. In questo piccolo cosmo abitano insieme uomini e animali: si va da quelli domestici, come i “sabong manoc” (i galli da far combattere e su cui puntare soldi), i cani e i maiali, agli animali meno addomesticabili ma pur sempre affezionatissimi a queste aree, come topi e insetti vari (ci sono blatte grandi come mezzo palmo della mano!). Nota curiosa di zoologia: qui i gatti non sono gli animaletti coccolati in famiglia, ma sono quasi tutti randagi e hanno un comportamento piuttosto 'autodifensivo'. 


Le stradine che separano i blocchi di baracche o i building sono per lo più melmose anche dopo giorni dall'ultimo temporale. L'immondizia si trova un po' dovunque, tanto che entrare in queste zone comporta un discreto sforzo di adattamento dell'olfatto. Le fogne non esistono: dove sono presenti, si riducono ad un fosso a cielo aperto, ricolmo di melma nera e 'minacciosa', che passa nientemeno che al centro delle già strette e affollatissime stradine. Per farvi un esempio, quando ci riuniamo con uno dei gruppi di lettura della Bibbia (BEC), il nostro cerchio di quindici sgabelli è attraversato giusto a metà da una di queste terribili 'fognette'. Poco distanti, i bambini giocano con i loro semplicissimi giochi, sereni nella loro convinzione che tutto questo sia 'normale'. Le persone che nel frattempo passano lungo la stretta strada in cui teniamo l'incontro (nessuna delle case potrebbe contenerci tutti) devono fare un percorso ad ostacoli per evitare di mettere un piede dentro al micidiale fossato. Sembra di vivere in un videogame. Eppure questa è la normale vita di ogni giorno per la maggior parte delle persone che abitano a Manila. 



Altri aspetti importanti sono le utenze. L'acqua arriva in poche zone: per molte famiglie (tutte hanno almeno tre o quattro figli) è una cosa normale trasportare ogni giorno le taniche di acqua (per bere, cucinare, lavarsi, ecc.) dal rubinetto 'pubblico' più vicino. L'elettricità arriva quasi dappertutto, anche se gli impianti e i cablaggi costringono nostro Signore a fare continui miracoli per evitare che partano incendi ogni settimana. Qui negli anni passati purtroppo di incendi ce ne sono stati, l'ultimo due anni fa. Quando capita, la situazione è così estrema, che i pompieri non riescono nemmeno ad entrare con i loro mezzi per le strette e ingolfate vie del quartiere. Non esiste rete pubblica di gas: considerate come stanno le cose, penso sia meglio così. La gente cucina con la bombola del gas, oppure con rudimentali fornelletti ad alcool, oppure con il carbone. 

Questo scenario può sembrare eccessivo, eppure ho descritto le cose che vedo in queste aree. Mi rendo conto di quanto sia difficile (per non dire impossibile) rendersi conto di quello che scrivo senza averlo visto, toccato (e annusato) in prima persona. Occorre anche considerare che la realtà è ancora più complessa. Ad esempio, queste comunità non sono totalmente indifferenti o rassegnate all'immondizia e al degrado, ma si sforzano di rendere più 'abitabile' qualche zona del loro ambiente: alcune pavimentazioni stradali di cemento, la copertura di qualche fogna, la creazione di campetti per il basket o altre attività comunitarie sono alcune delle molte migliorie che si possono notare e apprezzare solo frequentando questi barangay nel corso dei mesi o degli anni. 

Il mio racconto si ferma qui solo momentaneamente: proseguirà addentrandosi nella vita di queste persone (o almeno di quello che a me viene dato di conoscere). Che cosa fa questa gente per vivere? A cosa giocano i bambini? Ci sono famiglie che cercano di andare ad abitare altrove? Cosa si sta facendo concretamente per aiutare questa gente? E cosa significa aiutarle veramente? Queste sono solo alcune delle domande che cercheremo di sviluppare nei prossimi articoli.

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