Piccole imprese e grande fantasia



Una delle domande con cui ci siamo lasciati nello scorso articolo riguardava cosa fanno i residenti delle squatter area per sopravvivere. Camminando per le stradine di queste zone, si scoprono una miriade di insolite attività, che hanno come comune denominatore la necessità di sopravvivere. Sono lavori con caratteristiche diverse, che si mantengono sulla speranza che la salute di chi li svolge resti sufficientemente stabile da proseguire, sulla speranza che qualcuno abbia bisogno di quel lavoro e lo paghi, che chi ha preso un impegno “a voce” lo mantenga, che nessuno rubi la merce che serve per il lavoro, che la bottega non bruci in un incendio. Non siamo certamente nel far-west, tuttavia vivendo qui mi sono reso conto che l'Italia è ancora uno stato di diritto. 



Un'attività molto gettonata è il sari-sari, ovvero un piccolo negozietto che offre la stessa gamma di prodotti che trovavamo nelle nostre vecchie drogherie, ma ristretto in un ambiente di dimensioni ridottissime. Anche i formati dei prodotti sono minuscoli, perché i clienti dispongono solo giorno per giorno dei soldi necessari per fare spesa: ad esempio bustine contenenti solo una piccola manciata di arachidi, bustine di shampoo monodose, scatolette di sugo alle sardine da 155g, ecc. 
In questi negozietti ho visto per la prima volta vendere le forchette di plastica una ad una. Normalmente il sari-sari è a gestione famigliare, così può essere collocato in casa e affacciarsi sul pubblico da una semplice finestrella, che diventa così la vetrina e allo stesso tempo il 'bancone' dove si servono i clienti. Tra familiari si può dare il cambio, in modo che qualcuno sia sempre presente e l'attività resti aperta a tutti gli orari, condizione indispensabile per poter guadagnare qualcosa. Molti sari-sari, inoltre, assumono caratteristiche diverse in base a ciò che il proprietario riesce ad offrire: ad esempio ho trovato in vendita pesce appena pescato, batterie usate di telefonini, banane a diversi gradi di 'maturazione' (o meglio dire invecchiamento), accessori elettronici di produzione cinese a bassissimo costo, occhiali usati, vestiti usati, ecc. 

Un'altra attività molto caratteristica qui è la vendita di street food pronto per essere consumato: si trova un po' di tutto. Magari prossimamente dedicherò un articolo al cibo. 
Altra attività di sopravvivenza è sbucciare aglio per le industrie: molte donne lo fanno. Per 15 Kg di aglio sbucciato e lavato, guadagnano 75 pesos filippini (l'equivalente di 1,20 euro). 
Un altro mestiere, che ha anche un ruolo importante per la società, è quello del trasportatore: chi non può permettersi una jeepney, può saldare al suo motorino (o alla sua bicicletta) un sidecar artigianale e fare l'autista di tricicle (o di pedicab). Trovate alcune fotografie correlate all'articolo precedente. 
Altri più esperti del mestiere allestiscono l'entrata di casa come bottega da barbiere o come 'salone di bellezza', in cui si fa prevalentemente manicure con lo smalto (le donne si tingono i capelli a casa propria, a volte con l'aiuto di una vicina, per risparmiare). 
Rappresenta un “mestiere” anche la ricerca, nel pattume, di qualcosa da riciclare o da rivendere (ne abbiamo già accennato in precedenza). 
Ancora, si “lavora” sostando agli incroci stradali senza semaforo o nei passaggi più trafficati e ostici per aiutare il deflusso del traffico: si può guadagnare qualcosa. Ho saputo di un tale che, non trovando più nessun incrocio 'disponibile', ha tirato con la fionda ad un semaforo finché non è riuscito a romperlo e così ha iniziato anche lui a lavorare. 


L'ironia non è troppo fuori luogo qui, nonostante le condizioni di vita così severe: ovunque mi giri vedo miseria, però raramente mi capita di sentire lamentele o imprecazioni da parte delle persone. Al contrario, molti riescono a salvare la voglia di scherzare. 
Un forte limite che riscontro nelle persone del luogo è la mancanza di progettualità per il futuro e di capacità di organizzarsi, ad esempio risparmiando. Capita infatti ad alcuni, in circostanze particolarmente favorevoli, di guadagnare (o ricevere in dono) qualche somma extra che non sia solo il necessario per la sussistenza. Questo denaro 'extra' però, di solito, viene speso in amenità nel giro di pochissimo tempo. Sono d'accordo con p. Carlo, il parroco che mi ospita, che afferma che forse questo aspetto culturale è dovuto in gran parte all'assenza della stagione fredda: mancando l'inverno, le persone non sono costrette a fare provviste, poiché il cibo è disponibile durante tutto l'anno. 

Non sono pochi i progetti messi in campo da ONG o altre associazioni per formare le famiglie ad una più lungimirante gestione economica e per insegnare qualche mestiere semplice, così da poter provvedere dignitosamente alle proprie necessità. La Caritas Manila, ad esempio, nei mesi scorsi ha promosso in alcune parrocchie, tra cui la nostra, dei corsi di avviamento professionale per le famiglie con microcredito. 


In un contesto come questo, sorge spontaneo chiedersi perché queste persone non se ne vanno altrove. In passato alcuni nuclei famigliari erano stati ricollocati in altre zone, ma dopo poco tempo sono ritornati indietro perché la nuova sistemazione li isolava dai quei servizi che, pur vivendo in uno squatter, la città poteva offrire loro: ospedali, scuole, possibilità di svolgere lavori occasionali, ecc. 
La realtà è molto complessa. Su questo tema entrano in gioco anche aspetti educativi: ci sono adulti che vanno letteralmente educati a cogliere il valore di una vita diversa, per se' stessi e per la loro famiglia, e ad accettare, ad esempio, di sostenere le responsabilità quotidiane (pagamenti di utenze o affitti, impegni lavorativi) o di curare seriamente l'igiene (della casa e dei figli), per evitare che si creino ulteriori problemi di non facile soluzione. Connessi a questi, ci sono anche aspetti più ideologici e politici: contrasti tra movimenti popolari, che si presentano quali portavoce dei poveri, e amministrazione comunale che proclama gli stessi obiettivi. In questo bailame, chi ne paga le conseguenze sono sempre gli stessi: coloro che non capiscono quando qualcuno li sta usando. Ma questo punto forse sarà meglio serbarlo per un prossimo articolo.


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