Dio e l'anagrafe


Maricel vive in una minuscola baracca, rialzata di un paio di metri da terra, con il pavimento malfermo, insieme a tre figli. Il suo uomo non c'é più: inutile indagare su dove sia finito: forse è più d'aiuto così. La mamma aiuta a badare e mantenere i figli, che sono ancora troppo piccoli per portare qualche soldo a casa. Maricel è malata: la diagnosi precisa non l'ha saputa spiegare nemmeno lei, sia per carenza di accertamenti clinici (qui se non paghi nessuno ti guarda e le strutture gratuite, quelle dei religiosi, hanno code interminabili e spesso attrezzature limitate) sia per impossibilità sua (la sua lingua madre è il bicolano, non il tagalog, e i suoi anni di istruzione si contano sulle dita di una mano). Tutto però fa pensare ad un tumore, al quale forse si sommano altre patologie piuttosto comuni qui, come ad esempio la tbc. Le faccio visita insieme a due novizie delle suore missionarie della carità (quelle di madre Teresa di Calcutta, per capirci): sono stato invitato per portarle la confessione e l'unzione degli infermi. Maricel adesso fa molta fatica ad uscire di casa. 

Quando arriviamo la salutiamo, mi presento (per fortuna, per le parole più comuni, riesce a capire e parlare bene il tagalog) e mi arrampico su da lei. Mi appollaio nella minuscola stanza accanto a lei e al suo pranzo-colazione, un piatto di riso macchiato con un po' di salsa, ma lasciato lì a metà, appoggiato in terra perché non c'è mobilio. Iniziamo la confessione e, nel corso della conversazione, scopro che lei non è mai stata battezzata: nelle baracche di Tondo non si deve mai dare nulla per scontato. Maricel è nata e cresciuta su un'isola piccola, dove non c'era la chiesa cattolica. Non è mai potuta andare in una parrocchia e non ha mai ricevuto i sacramenti. Non conosce il Padre Nostro, l'Ave Maria, né altre preghiere che diamo solitamente per scontate. Maricel, tra il dispiaciuto e l'imbarazzato, ha confessato anche di non avere mai avuto nemmeno un certificato di nascita. 

Dal suo racconto, breve, perché in fondo, nella semplicità e ovvietà della cosa, c'era davvero poco da dire, mi si è palesata la consapevolezza che ancora oggi tante famiglie vivono in remote zone rurali, isolatissime dalle città e dagli uffici anagrafici, quindi dai centri della fede, dell'educazione cristiana, della celebrazione dei sacramenti. La nascita in un luogo simile determina molti aspetti della vita che si avrà davanti. Adesso Maricel (non so quanto tempo le resti ancora su questa terra o di quale sia la sua percezione di ciò) desidera ricevere il battesimo ed imparare 'le preghiere': ho domandato alle suore di incontrarla qualche volta per prepararla velocemente. Per una volta (e non sarà certo la prima né l'ultima, almeno qui) verrà accolto un battesimo anche senza la necessaria documentazione anagrafica. 

Trascorsa una settimana, nel compound incontro una delle novizie e le chiedo notizie di Maricel. Lei abbassa lo sguardo a terra e mi racconta che, un paio di giorni dopo la nostra visita, si è spenta. Adesso è tra le braccia di Dio. Ha lasciato su questa terra quattro bambini piccoli. Sono andato subito a benedire il suo feretro e a darle il mio ultimo saluto. Se n'è andata silenziosamente, senza attirare su di sè l'attenzione delle persone, proprio come fanno i poveri. Qui nella baraccopoli è la norma per la maggior parte delle persone.

Commenti

  1. Caro Don Graziano, credo che nella infinita sfortuna di una vita, Maricel abbia almeno avuto la fortuna di ricevere la Tua benedizione e il sorriso di una persona speciale come Te. Fra le tante pagine inutili e vane ch si trovano su Facebook è bellissimo poter leggere i tuoi racconti e reportage da un mondo che sembra lontano ma che, grazie a te, possiamo quasi “toccare con mano”.
    È meraviglioso quello che fai e che fate ogni giorno.
    Questa è la Chiesa che vorremmo tutti. La Chiesa che voleva Gesù.
    Un abbraccio dalla Pomposa.
    Paolo Pernice

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