Happy fiesta (parte 2)


Riprendo il discorso iniziato riguardo allo stile delle feste popolari qui a Manila. Prima di tutto vorrei chiarire che qui non è sempre festa, ma in questi miei primi mesi a Tondo sono rimasto così colpito da quelle a cui ho assistito, da aver avuto il desiderio di raccontarle: nel frattempo, mi sono occupato di altre cose, meno “ludiche”, a cui dedicherò i prossimi post.

Gli aspetti della festa che mi preme ancora aggiungere riguardano “la strada” e “le soglie delle case”.

Fin dalle prime esperienze, ho potuto constatare che qui il luogo in cui normalmente si sviluppa e prende corpo una festa è la strada, ancor più che la parrocchia, anche quando si tratta di feste religiose o vere e proprie celebrazioni liturgiche. Pur in presenza di attività che vengono svolte dentro le chiese, è comunque prevalente un senso più “territoriale” della festa.

In previsione di una festa, non c'è neppure bisogno di avvertire le famiglie affinché decorino le proprie case, perché lo fanno di propria iniziativa, come segno di partecipazione emotiva e condivisione. In poco tempo, le stradine del quartiere, sempre intasate di tricicles o jeepneys parcheggiate, vengono letteralmente ricoperte da un “tetto” di bandierine colorate o di striscioni che, in particolare in clima di elezioni politiche, evidenziano la sponsorizzazione della festa da parte di qualche politico locale (tutto il mondo è paese!). Le bandierine, davvero tantissime, fatte con plastica riciclata, vengono disposte secondo una geometria così curata da lasciarmi perplesso quando rivolgo lo sguardo alla disposizione invece così caotica e precaria dei cavi delle linee elettriche, che dovrebbero essere ben più importanti e permanenti.

Mano a mano che il giorno della festa si avvicina, ogni barangay si organizza come meglio riesce per la sfilata, curando anche le danze e la musica. Così, mi è capitato più volte, la sera, di vedere intere strade chiuse al traffico (senza farsi problemi per richiedere autorizzazioni...), perché occorreva fare le prove con i percussionisti e schiere di bambini e giovani provare le proprie coreografie per la sfilata. Del resto gli spazi in cui poter raccogliere molte persone sono pochissimi qui, come vi ho già raccontato. Le case sono piccole, i covert courts dei barangay (l'equivalente delle nostre sale di circoscrizione) sono solitamente sotto dimensionati per il numero dei residenti, anche le chiese sono spesso troppo piccole rispetto ai fedeli che partecipano alle celebrazioni. Con queste caratteristiche, il luogo più adatto a radunare tutti può essere solo la strada.

Uno degli aspetti chiave per scoprire come le persone qui vivono ogni cosa è la comunità, che si traduce nella dimensione della famiglia (ovviamente quella allargata), del barangay, della categoria di appartenenza (insegnanti, poliziotti, ecc...) o nello spirito nazionale. Gli appartenenti alla stessa “comunità” indossano spesso magliette uguali che li identificano, riconducendoli ad un gruppo specifico: amano cantare o ballare insieme e adottare uno stesso slang nel linguaggio, come se questo desse loro una più forte identità e maggiore coraggio per vincere la timidezza e per tirare fuori il meglio di sé di fronte alla società.

C'è un antichissimo concetto nella cultura filippina che descrive appropriatamente questo forte senso di comunità e viene indicato col termine “kapwa”: è traducibile nei termini della responsabilità reciproca di ciascuno verso gli altri membri del suo gruppo così come viceversa. Penso sia questa consapevolezza di responsabilità a rendere le persone normalmente espansive ed ospitali, sia tra loro sia verso l'ospite (ovviamente in questo caso occorre prima che vincano la propria innata timidezza!).

Per fare un esempio, mi collego con la seconda caratteristica della festa di cui desidero scrivere: la soglia delle case. Durante le feste, molte persone stanno sedute fuori di casa, vicino alla soglia della porta (esistono pochissimi marciapiedi qui: praticamente sono quasi tutti in mezzo alla strada!) a parlare, mentre bevono o mangiano della “chicheria” (si pronuncia ciceria), solitamente costituita da patatine o snack simili, tra cui il famoso “chicheron” di cui un giorno vi racconterò. Chi passa e saluta o si ferma per due chiacchiere, secondo la tradizione deve anche mettersi a sedere e condividere il bere, almeno per qualche minuto.

Anche quando non ci sono feste, molte persone trascorrono comunque il tempo libero "fuori dall'uscio di casa", come diremmo noi, ad incontrare gli altri e a scambiare chiacchiere.

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