Il saluto fatto alla parrocchia il 15 luglio

Ricordo molto bene la mia prima notte come parroco in sant'Agostino. Non ho chiuso occhio, avevo 32 anni, era la mia prima esperienza, mi sentivo gravato di un peso eccessivo per le mie capacità. Con il tempo ho sentito questa parrocchia come casa mia. In questi 11 anni ho sofferto tanto, ma ho avuto anche gioie così grandi che non avrei mai immaginato. Ringrazio Dio perché nonostante tutti i momenti difficili affrontati, ho mantenuto pulita la mia coscienza e ho messo tutto il mio impegno nel seguire il Vangelo. Domando umilmente perdono per gli errori che ho commesso a motivo dei miei limiti. Non avrei mai voluto fare soffrire delle persone o complicare la vita a qualcuno.
Vi lascio in eredità tre cose.

1 - Ho creduto che la Parola di Dio e la messa sono realtà sacre.

Per questo non ho amato le omelie di circostanza, eleganti ma scollegate dalla vita quotidiana. La Parola di Dio non ci è data per fare del salotto. Mi sono invece fatto scrupolo di prendere sul serio qualche versetto di Vangelo e di provare a viverlo insieme a voi. Ho poi un grande rispetto della Messa: è comunione con Gesù. Per questo ho fatto del mio meglio per celebrare in modo più vicino alle persone. Chiunque viene a messa, ha diritto a sentirsi accolto e amato. Ho scelto di celebrate evitando fasti e cerimoniali pesanti, ho cercato il più possibile uno stile umile e diretto, per dire alle persone che la nostra stessa vita è una liturgia sacra.

2 - Ho creduto che si è davvero chiesa se si è ospitali.

Sono sempre vissuto nel mio paese di nascita: in passato lo consideravo ovvio. Ma quando ho incontrato chi è stato costretto a migrare per sopravvivere, mi sono accorto di essere un privilegiato. Potevamo esserci io o la mia famiglia al loro posto. Sono felice di avere dedicato tempo a stare insieme a questi fratelli e sorelle: ho conosciuto i loro nomi, le loro famiglie, le loro tradizioni, le loro lingue. A volte ho percepito la loro sofferenza silenziosa, nascosta con dignità. Non li considero ospiti, ma portatori di un dono. Prego di vedere crescere delle comunità cristiane aperte alla cattolicità autentica, che è universalità armonia di diversità. Sogno parrocchie nelle quali, al di là dei discorsi, i migranti vengano considerati membri a pieno diritto alla pari degli italiani, realmente coinvolti nel progettare, permettendo loro di mantenere la propria identità culturale.

3 - Ho creduto che non potevo essere cristiano se non cercavo di amare chi è ai margini della società.

Molti di noi non sanno cosa significhi ritrovarsi davvero senza famiglia, amici e dignità, senza casa, cibo, lavoro, igiene personale e medicine. Tutti abbiamo qualche miseria, ma solo alcuni tra noi sono realmente poveri. Facciamo fatica a metterci nei loro panni. Le parole e i gesti di papa Francesco mi danno conforto. Quando ho letto il suo primo documento, l'Evangelii Gaudium, ricordo di avere proprio goduto. Continuo a sperare in una chiesa in cui stare vicini a chi vive alle periferie esistenziali non sia considerato un gesto eroico o un compito da delegare ai professionisti del sociale. Prego di conoscere parrocchie in cui laici e consacrati sentano come evangelicamente ovvio l'impegno a condividere momenti della loro vita con chi si ritrova emarginato dalla società.

Ora guardo ai grandi cambiamenti ai quali la parrocchia va incontro.
In molti c'è la paura che con il cambio di parroco e con l'arrivo dei parrocchiani del duomo, alcune cose cambieranno. Vorrei tranquillizzarvi: non cambieranno alcune cose, ma tutto. È normale. Anche dopo il mio arrivo in questa parrocchia è cambiato quasi tutto. Accogliete perciò don Paolo con pazienza e fiducia, senza domandarvi troppo cosa succederà e quali scelte farà. Vogliategli bene e aiutatelo. Se in questi anni abbiamo vissuto insieme qualcosa di buono, tocca a ciascuno di voi coltivarlo e farlo crescere. Se Dio lo concederà, questa intuizione continuerà, qui o altrove.

Infine ringrazio tutti per l'aiuto che avete dato a me e alla parrocchia in questi anni: dalle suore a chi ha servito in ufficio e nel consiglio pastorale, nel catechismo o nei gruppi giovanili, nella liturgia e negli altri ministeri, da chi si è dedicato alla cura delle chiese e alle tante iniziative di carità, a chi ha fatto da mangiare o ha montato le strutture nelle feste, fino ad arrivare a don Giulio, così puntuale nel suo servizio.
Ringrazio la mia famiglia perché mi sostiene e mi da fiducia nonostante le mie scelte un po' matte. Ringrazio gli amici della tavola: mi hanno custodito ogni giorno con la loro compagnia e mi hanno insegnato come si sta al mondo. Ringrazio la mia fraternità, che si rivela sempre più un dono provvidenziale di Dio. Ringrazio fr JV, il PPC, YFC e tutti i gruppi filippini con i quali in questi ultimi anni abbiamo realizzato bellissimi cammini.
Ringrazio infine don Erio, che è venuto qui oggi insieme a noi e mi ha dato da subito il permesso di vivere l'esperienza nelle Filippine, che da tempo attendevo.

 

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